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Addio a Elio Fiorucci, il maestro della moda che ha dato nuova vita all’ordinario

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È stato trovato morto questa mattina​, nella sua abitazione di Milano, Elio Fiorucci, lo stilista celebre per i suoi angioletti e  considerato da molti addetti ai lavori uno dei più grandi innovatori italiani.​

Che poi, a ben pensarci, chissà come l’avrebbe presa, Fiorucci, questa cosa dello “stilista”. Lui che ha sempre rifiutato questo aggettivo, questo ruolo, questo status.​ Era molto di più, in realtà, di uno stilista, e lui lo sapeva. ​Ma tant’è. Nella moda, così come nella comunicazione e nel mondo in generale, si tende sempre a semplificare, a discapito della pertinenza. Fiorucci era  e resterà sempre un inventore scrupoloso, un osservatore attento e maestro di stile.

«E’ il maestro di tutti noi» aveva detto Vivienne Weestwod.

Elio Fiorucci è riuscito, infatti, a raccontare​,​con la sua moda​,​il cam­bia­mento della società e la rivoluzione culturale a cavallo tra gli anni ’60 e ’70. Anni, come ricorda lo stilista, allegri, colorati e creativi. ​​Gli anni della libertà in cui John Lennon canta Imagine e in Italia si vota il referendum sul divorzio.​ Gli​ anni della fine delle ipocrisie perbeniste.

Non solo: la moda di Fiorucci è riuscita a mostra come gli abiti fossero sempre più una forma di comunicazione​ e come pongano inessere la relazione tra​ gli​ individui e la costruzione del s​é​; e come questo significato fosse sempre più influenzato dal contesto in cui è consumato. ​Quella di Fiorucci​, infatti, ​era una moda basata sulla trasformazione semantica del significato di un oggetto attraverso una​ ride​​finizione del contenuto espressivo e linguistico. ​

Non a caso la sua ispirazione fu Biba, il primo concept store, aperto a Londra da Barbara Hulanicki. Un negozio che​,​in antitesi con la filosofia dei grandi magazzi​ni​, proponeva a giovani e a donne​ non solo​un modo di vestire, ma sopratutto un modo di vivere. E così nel 1967 ha portato la Carnaby street del tempo a Milano, con il suo store in Galleria Passerella disegnato da Amalia Del Ponte e fatto di minigonne, colori e musica alta.

È solo l’inizio di una carriera di 35 anni di innovazioni in cui Elio Fiorucci diventa un cool hunter ante litteram, scovando nuovi talenti dalle strade, apre concept store in giro per il mondo, collabora con l’opening dello Studio 54, si circonda di artisti della pop art, da Andy Warhol a Basquiat e trasforma il jeans in un oggetto di culto per la moda, a tal punto da far dichiar​ar​e a Bruce Springsteen che ha dichiarato: ​« Quando il Metropolitan mi ha chiesto un oggetto simbolo della mia personalità da esporre, ho dato la mia chitarra e i miei blue-jeans Fiorucci».

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Lo stilista amava decontestualizzare gli oggetti per poi ricontestualizzarli in ottica Fiorucci​: dalle galosce in plastica spolverate dall’alone di vecchiume e trasformate in un must-have, ai jeans sdoganati in tutti i contesti sociali​,attraverso il potere della fantasia​, ​e non più relegati solo al mondo del lavoro manuale. ​Così nel ’84 concepì il negozio come una cattedrale da far “affrescare” dai grandi pittori, proprio come nel passato. Keith Haring fu l’artista prescelto.​ ​E​ ancora fece diventare​​ pop​​la spiritualità, facendola uscire dalle​​ chiese e applicando quegli angioletti, diventati poi emblema del brand, su maglie, borse e negozi.​

Elio Fiorucci amava definirsi un commerciante. Un abile commerciante, verrebbe da dire, che strizza l’occhio alla capacità di Andy Warhol di fare arte con una Campbell Soup.

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