Terminate le settimane della moda si spengono i riflettori, il sipario cala e si tirano le somme di quello che è stato. Lontano dalle folle e dai front row più celebri, si riflette sui lati positivi e su quelli negativi, su quello che funziona e su ciò che si potrebbe migliorare. E come ogni anno si torna a parlare dei blogger. La scintilla, che ha dato il via al dibattito più accesso del momento, non è la solita e solitaria voce fuori dal coro ma niente di meno che la redazione online di Vogue US, la bibbia del fashion system versione 2.0, diretta dalla impassibile Anna Wintour. Alcune delle più illustri giornaliste, in un articolo pubblicato su vogue.com, si sono scagliate contro blogger e influencer, denunciando l’invasione e non tanto opportuna presenza di quest’ultime. Nessuna novità rispetto gli anni precedenti. Unica piccola differenza in questa lotta tra giornalismo tradizionale e new media? Il modo, non tanto soft, con il quale è stato sferrato l’attacco.
“Un appunto ai blogger che si cambiano dalla testa ai piedi, pagati per indossare un outfit diverso ogni ora: per favore, smettetela. Trovatevi un altro lavoro. State decretando la morte dello stile” è la prima a scrivere Sally Singer, Creative Digital Director di Vogue. Sembrerebbe voler difendere le influencer Sarah Mower, Chief Critic di Vogue.com: “È vero, le blogger sono irritanti, ma pensate alle aggressioni dei fotografi che le aspettano per la strada…È orribile e soprattutto patetico per queste ragazze: quante volte le disperate si fanno su e giù fuori dalle sfilate, nel traffico, rischiando incidenti nella speranza di essere snappate?” un intervento alquanto ambiguo, no?”. Continua Nicole Phelps, Direttore di Vogue Runway, citando le parole di Tomas Maier, direttore creativo di Bottega Veneta, e ricavando la sua opinione sulla questione: “Non è solo triste per le donne che si pavoneggiano davanti all’obiettivo, indossando abiti in prestito. È angosciante vedere anche tanti brand collaborare e stare al gioco”. Chiude Alessandra Codinha, Fashion News Editor di Vogue.com, usando l’artiglieria pesante per sferrare l’attacco più duro: “È divertente il fatto che continuiamo a chiamarli blogger anche se pochissimi di loro ormai lo sono, troppo impegnati a posare in modo spesso ridicolo e a farsi fotografare solo per aggiornare con gli scatti i propri profili social. È imbarazzante, se si pensa a tutto quello che succede nel mondo». Conclude: «Amare la moda è straordinario, ma cercare stile tra chi viene pagato per essere in prima fila è come andare in uno strip club per innamorarsi”. Anche Neiman Marcus, colosso della distribuzione di lusso, si schiera fianco a fianco con la redazione di Vogue, sottolineando come il blogging sia causa di perdite di fatturato.
Il contrattacco del mondo blogger non ha tardato ad arrivare. Bryanboy, socialite e businessman filippino, e Susanna Lau alias Susie Bubble, fashion blogger inglese, hanno scelto Twitter come campo di battaglia, scatenando un interminabile dibattito sui social. La stessa Susie Bubble ricorda come i magazine siano da sempre legati economicamente ai propri inserzionisti. L’essere pagato per indossare outfit è paragonabile ai crediti sulle riviste. Ora dopo ora, il web si è riempito di commenti in difesa delle starlette digitali, accusando Vogue di abusare della propria potenza ed elogiando il buon lavoro compiuto da blogger e influencer che, sembrerebbe, sarebbero in grado di far aumentare le vendite. Un potere che la pubblicità tradizionale pare aver perso. Un’affermazione con un proprio peso specifico quando si parla di vendite e fatturato. I protagonisti della rete non fanno miracoli e l’aumento di visibilità, commenti, like e cuoricini non porta alla conseguente azione di acquisto. Pur vero è che un post di Bryanboy o della Bubble ha molta più visibilità rispetto all’ultima copertina dell’ultimo numero scattato dal fotografo più famoso di una qualsiasi rivista di moda.
Nell’era del consumismo sfrenato, del see now buy immediately, dell’unisex alienante e del sogno ricorrente, i blogger sono la via più semplice del successo immediato, senza fatica e senza esperienza. Quel privilegio, proprio delle redazioni giornalistiche, di dispensare consigli di moda, di porsi su un piedistallo e benedire i propri fedeli si è perso. Influencer dopo influencer che predicano un sogno, mercificando la Moda, tra la folla in strada c’è e ci sarà sempre qualcuno che ha bisogno di tornare da quelle persone che la moda la sanno raccontare, con intelligenza, e non solo fotografare.