L’appetito vien mangiando o vien guardando? È vero che il buon profumino che aleggia sotto i nostri nasi ci fa venire l’acquolina in bocca, ma un piatto bello a vedersi ci invoglia ancora di più. È la scienza dell’estetica applicata alla tavola, vecchia quanto l’arte culinaria. Oggi, nella società del consumismo veloce, dove la vendibilità del prodotto è tutto, l’estetica assume un ruolo di primo piano. Anche a tavola. Nasce così il food design.
Come suggerisce la denominazione, si tratta di una vera e propria “progettazione del cibo”, nata e sviluppatasi in anni recenti come disciplina internazionale. In Italia ha avuto ampia risonanza grazie alla mostra “Dining Design” organizzata nel 2004 presso il Salone Internazionale del Mobile di Milano. Tra i nomi di chi sta investendo molto in questa nuova disciplina troviamo quelli di celebri stilisti, designer, aziende, importanti università e ricercatori.
Il food design trae spunto dalle arti visive, ma esplora inevitabilmente il campo del polisensoriale. Non basta che il prodotto sia esteticamente accattivante. La progettazione parte dall’ambiente, dalla “messa in scena”, passa per il package e il product design, per arrivare infine al contenuto del piatto. Lo scopo è unico e semplice: creare un’emozione nell’interlocutore. Lo sanno bene i tanti chef che, intuendo le potenzialità del food design, si sono subito lanciati a capofitto nel progetto, dando un apporto non indifferente alla ricerca e all’industria.
L’interesse è vivo, lo dimostrano i tanti corsi e i seminari organizzati presso i Politecnici di Torino e Milano. Senza contare le iniziative culturalisempre più frequenti e le pubblicazioni di riviste di settore. Certamente, la divulgazione delle tecniche favorirà non soltanto lo sviluppo della disciplina in quanto tale, ma determinerà probabilmente una maggiore coesione tra designer, chef e industria. Non va poi trascurato il ruolo chiave della pubblicità, che arricchisce l’immagine del prodotto già pronto con visioni e suoni accattivanti. Insomma, quello che arriva sulle nostre tavole è il frutto di una vera e propria ricerca scientifica. È il risultato di un lavoro di squadra che punta alla realizzazione di un prodotto a cui non si può resistere.
In anni recenti il food design ha fatto la fortuna di prodotti che altrimenti sarebbero rimasti confinati nel calderone dell’anonimato. Dare una particolare forma al cioccolato, per renderlo più croccante e leggero, più facile da spezzare, più “scioglievole”, come recita un noto spot, può essere determinante per la buona riuscita dell’operazione commerciale. Perché la giusta forma cattura il gusto, lo distribuisce sapientemente e lo armonizza con le pareti del nostro palato, per regalarci nuove sensazioni. Pasta docet. C’è un tipo di pasta per ogni salsa, ma c’è anche una forma per ogni bocca. Una patatina dalla sagoma ergonomica, adagiandosi con naturalezza sul palato, veicolerà le particelle che generano il sapore direttamente verso le papille gustative, provocando uno stimolo incessante che ci spingerà a mangiarne un’altra, e un’altra ancora, fino a terminarle. Capita più spesso di quanto pensiamo.
Forma dunque, ma anche colore. Accostamento cromatico, quasi a ricreare una scena. Piatti che evocano l’estate, o l’autunno, sono realizzati con prodotti stagionali sapientemente orchestrati nella forma e nel colore dalle abili mani degli chef. Non è solo cibo, è un momento di piacere irripetibile che coinvolge tutti i sensi, e anche lo spirito.
C’è poi chi ha saputo portare a tavola altre discipline, come Krista Markell, ex direttore di un marchio di arredamento, designer che ha fatto una scelta rischiosa ma vincente: coniugare pattern grafici e industria dolciaria. Sono nate così spettacolari torte dalle forme geometriche, dai colori pastello contrastanti audacemente accostati, e decorate con glasse satinate e ricami di pasta di mandorle.
Come dire, dulcis in fundo.