Un inquietante neologismo compare adesso sulle riviste di moda per descrivere l’incesto lessicale tra uomini e calzamaglia: ‘meggins’. Un nome aberrante –coniato da qualche mente che di marketing ne capisce eccome– autocertifica la liceità di queste brache effemminate, con l’intento subdolo di spacciare per ‘moda’ l’incontro mitologico tra l’esemplare umano di genere maschile e uno dei capi d’abbigliamento che risalta i fianchi femminili, battezzando la confusione dei ruoli con la crasi bastarda di ‘men’ e ‘leggins’.
La toilette del sedicente uomo modaiolo altro non è che una calza, aderente e –per il momento, poi chissà!- coprente, che strizza le forme adamitiche e lascia che l’immaginazione accusi il contraccolpo dell’evidenza anatomica. Indossati per la prima volta dal conduttore televisivo americano Conan O’Brien, i meggins sono diventati l’ornamento prediletto del cosiddetto sesso forte che si appella alle follie abbigliative di ‘divi’ del calibro di Justin Bieber e Russel Brand (marito di Kate Perry) per giustificare l’eccentrica concia.
Prosegue la femminilizzazione del maschio, dunque. Dopo borse e gonne, cappelli fru fru e orecchini vezzosi, l’uomo sfodera la bizzarria di un’immagine cinta in guaine contenitive come il piatto freddo di una diabolica vendetta servita a lei, rea di aver indossato i pantaloni per non toglierli più (come se non fosse già abbastanza la legittimazione delle sopracciglia perfette ad ali di gabbiano, del dorso glabro come lo stucco di una parete, del viso liscio come un puttino di porcellana).
E il geniale mondo della moda accorre in suo aiuto, lo guida nell’intento, consiglia il giusto outfif et voilà! Tutto diventa, improvvisamente, ingegnosamente, ‘fashion’. Basta che un brand avalli l’iniziativa e metta il suo logo sull’etichetta interna del feticcio o che qualche guru dello ‘stile’ mandi in passerella prototipi di maschi muscolosi fasciati dall’aderenza di un tessuto per decretare, ufficialmente, la portabilità di una mise, per quanto potenzialmente ridicola se indossata fuori dal contesto di una sfilata.
Ma “Ipse dixit” è il messaggio lanciato da chi quel capo lo indossa glorioso, in discoteca o per strada, con buona pace degli attoniti astanti poco avvezzi ad un’invasione improvvisa di Robin Hood in calzamaglia nella progressista Sherwood metropolitana.