La Galleria SpazioCima di Roma inaugura oggi una nuova stagione espositiva con la mostra IN-CAUTE TRAME, personale di Federica Zianni, vincitrice sezione Scultura MArteLive 2022. Curata da Roberta Tosi, IN-CAUTE TRAME racconta di “intrecci, reticoli astrali, trame dell’essere attonite e inquiete che si aprono come segni e presenze di segni ancestrali”, appartenenti all’anima o trasformatisi in materia che si piega o combatte. Un reale allegorico, dunque, o estremamente veritiero, ossimorico, è ciò che identifica le opere di Federica Zianni, in cui i contrasti di ombre e luci che caratterizzano il suo interrogarsi trovano anche nei materiali e nei colori, sapientemente scelti, la dualità e il contrasto delle possibili risposte; camere e lacci emostatici, dunque, ma anche legno e bronzo, nero e oro. Un’arte totalizzante, che esige un contatto e una pluridimensionalità creatrice di quel collegamento necessario tra spirito e mondo reale.
In-caute trame, la personale di Federica Zianni
“Se le porte della percezione fossero purificate, tutto apparirebbe all’uomo come in effetti è, infinito”. William Blake
Dove finisce il nero che aggroviglia i pensieri, l’oro liquefatto che arroventa la forma e la solidifica? Intrecci, reticoli astrali, trame dell’essere attonite e inquiete si aprono come segni e presenze di segni ancestrali, quelli che appartengono all’anima e lì restano a tratti inespressi, altri trovano la via coraggiosa della materia che si piega o combatte. Tra le mani di Federica Zianni si muovono, si ergono raffigurazioni ardite suscitate dall’incontro o scontro con la realtà, colta nell’intimo della sua inespressa essenza. In fondo raffigurare significa “mettere in figura”, ovvero rappresentare nell’allegoria, o simbolicamente, il reale da cui non si fugge e non ci sono sconti, né facili risoluzioni. Da questo incontro sempre generativo dove i contrasti diventano singolarità, teatri d’ombre e di luce che si dibattono e gridano la loro lotta con la vita, nascono opere come paradossi, quasi fossero scherzi del destino che interrogano e disturbano se l’esistenza diviene solo un facile attraversamento dei giorni. Ma l’arte, quella vera non appare mai un mansueto attraversamento: «Nessuna opera regge se dentro di sé non ha tutto il pathos e tutta la sofferenza dell’autore. (…).
Né video art, né body art, né concettuale art, acephal art, squallida art, fecal art. Nessuna comic art o ethnic art. Solo un eterno punto interrogativo inchiodato al cielo.», ha scritto Claudio Parmiggiani. Quel punto interrogativo è anche ciò che scuote la ricerca di Zianni quando la raggiungono le sue improvvise apparizioni, sul finire del giorno. Scende allora l’artista, scende e risale la scala preziosa dell’esistenza, la sua Scales, quasi fosse la scala biblica di Giacobbe, ne cercasse l’accesso o ne togliesse la pelle, di più, le squame. Come fossimo anche noi creature che si dibattono, tra terra e acqua, anche cielo, e forse è così. Quasi cercasse le «immagini spettrali a strati sovrapposti sino all’infinito, avvolte in membrane infinitesimali» di Balzac, sedimentando tessiture di vita e interrogandosi costantemente sulle sue forme, su ciò che è e, soprattutto, non è. Il percorso è lungo, un parto nel tempo accolto quando ancora Federica muoveva i primi passi nell’arte e dunque nella vita, per giungere a materia e sostanze in continuo affanno tra loro, sospinte da forze centripete che stringono, avvolgono, proteggono. Anche la scelta dei materiali, che non è mai un caso, si scopre a tratti duttile, docile, arrendevole come camere d’aria e lacci emostatici, altri potente e salda, come bronzo o legno. L’intreccio di forze contrastanti, l’insaziabile scelta del controcanto cromatico come il nero, nel profondo che tutto trattiene, e l’oro, icona che spalanca e apre, creano un equilibrio che riassume e ritrova l’istinto al viaggio archetipico. Non potrebbe essere che così quando, faccia a faccia, come di fronte a uno specchio che non riflette ma evoca, si chiede: Who are you? Interrogativo che cela tra le pieghe, ciò che non rivela: “Who am I?”. O ancora, il suo I’m looking for the Man, bronzo teso e aggrovigliato dell’anima che non si arrende e si protende come un Diogene con la sua lanterna, a cercare l’Uomo, l’essere umano stesso e la sua verità. Una ricerca inquieta, perché inquieta è la realtà che viene assoggettata ai propri desideri o bisogni ma rimane lì come quella spada, risoluta a cedere e a risvegliare le coscienze. Appesa quasi per errore, pronta al minimo sussulto, Restless of Democles è questo monito a cui fa quasi da eco In case of emergency. C’è sempre un’emergenza che impone la sua evidenza e ci scopre a volte fragili, sulla soglia, nell’oro e nel nero, tra trame d’aria e di respiro. Trame che si scoprono Reticulum, grandi e piccoli, e tornano, tornano sempre. Linee sovrapposte che imbrigliano il pensiero, lo celano al sentire distratto, pieghe oscure che trattengono la luce per non schiuderla a chi non ne è degno. Il movimento diventa costante, l’inseguimento infinito e bussa alle porte dell’Io e al mistero di ciascuno, anche a costo di svuotarne la custodia per accedere a una semente incapace di generare. Cosa resta di un melograno che non produce più frutto, paradigma di una vita in cui si è donato tutto? S’intrecciano fili, si avvolgono reticoli che chiedono, no esigono, il contatto, pelle a pelle, perché l’arte o è in questa totalità o non è. Federica Zianni lo afferma, senza reticenze: nella bidimensionalità si sente soffocare. Così spodesta la mano dalla sua quiete e oltrepassa il vuoto, quello che resta attorno alle opere, lo spazio necessario perché l’arte avvenga, si compia l’incontro e ci sia il lungo succedersi dei momenti, uno dopo l’altro. Laddove il mondo accelera, l’arte sospende, chiede tregua, trattiene lo sguardo per inabissarsi nello spirito e trovarne l’accesso. Se questo avviene, allora ci sarà la possibilità di cambiare rotta, tagliare i cordoni che imbrigliano, le cravatte al collo che imprigionano ma, al contempo, sciolgono i fili incostanti dei giorni e si appuntano al chiodo come memento. E allora, tutto questo non sarà stato invano”, scrive Roberta Tosi nel testo curatoriale.