Di seni nudi, cosce tornite e sguardi ammiccanti è pieno il mondo. Il corpo femminile, ben levigato e ripulito da Photoshop, sobilla l’ormone furente del maschio e la curiosità pettegola della femmina, ed è il (s)oggetto preferito delle campagne pubblicitarie che lo spogliano per incrementare le vendite di qualsivoglia prodotto.
Eppure, i duecento scatti del fotografo tedesco Helmut Newton presentati al Museo delle Esposizioni di Roma nella mostra ‘White Women, Sleepless Nights, Big Nudes’, vanno oltre il prototipo di una fisicità banalmente intesa.
Dopo il Museum of Fine Arts di Houston e il Museum für Fotografie di Berlino, approda in Italia la terza tappa di un progetto di June Newton, vedova dell’artista, nato nel 2011 per raccogliere alcune delle immagini contenute nei tre volumi stampati dal 1976 al 1981 e destinati ad entrare nella leggenda.
In ognuno di essi la donna è il filo conduttore, che parte da White Women come artefice del cambiamento di un ruolo precostituito all’interno della società (immagini che sono talmente rivoluzionarie da ottenere il prestigioso Kodak Photobook Award), si dipana attraverso Sleepless Nights, dove diventa protagonista assoluta di un reportage di cronaca, per arrivare a tessere la gloria dell’autore in Big Nudes, dove la fotografia di moda è utilizzata come espediente per realizzare qualcosa di molto personale e del tutto innovativo.
Si dice che a Helmut Newton vada riconosciuto il merito di aver trasferito il nudo femminile nell”estetica fashion’, grazie ad immagini forti, sensuali e pungenti, pubblicate anche su riviste del calibro di Vogue, Uomo Vogue, Harper’s Bazaar, Elle , GQ, Vanity Fair, Max e Marie Claire, che hanno stravolto il concetto stesso di fotografia di moda rendendolo un protagonista indiscusso del secondo Novecento -anche grazie alla sua collaborazione con i grandi nomi di Chanel, Gianni Versace, Blumarine, Yves Saint Laurent, Borbonese e Dolce & Gabbana.
Ma ciò che per i profani dell’arte fotografica, digiuni di nozioni teoriche e tecniche di base, risulta essere il pregio più evidente del Maestro è il potere comunicativo che queste immagini, sconce nel loro sfacciato esibizionismo, riescono a trasmettere.
Abituato alla banalità delle sedicenti foto artistiche esposte sui calendari delle edicole di giornali, l’osservatore non può esimersi dal godere della bellezza autentica, fermata nell’impeto di un gesto, nella convessità di forme tornite, nella perfetta genuinità di una pelle nemmeno tanto glabra.
Le donne di Newton, sfrontate e impudiche, sconvolgono per la capacità fortissima di collocarsi ben al di sopra del retaggio culturale che associa la nudità al ‘peccato’ immorale di guardare un corpo svelato.
E’ una fisicità che, per quanto studiata, è sensuale per natura, interpreta pose che non scimmiotta, vuole essere indecente e ci riesce, graffiando l’immaginazione. I corpi nudi sono protagonisti e sussurrano audacia, mentre l’uomo non c’è o, se compare, ha la stessa funzione di un oggetto di scena, come i frustini e le protesi mediche sfruttati per alimentare la provocazione.
L’anatomia femminile, che nel contesto moderno si risolve col binomio ‘tette e culi’, è in questa rassegna fotografica una forma altissima di erotismo, raffinato e ingegnoso, che insinua le fantasie segrete e taciute e si fa beffa di un’ipocrisia perbenista che, alla fine, ha sempre cercato le serrature di porte chiuse per guardarvi attraverso e godere in silenzio del proibito.