C’è chi sostiene che gli artisti non amino mettersi in gioco. A giudicare dall’incontro/scontro a suon di opere d’arte del ciclo espositivo Soltanto un quadro al massimo, in mostra presso l’Accademia Tedesca di Roma fino al 7 giugno, non si direbbe.
Per la ventesima edizione dell’ormai famosa rassegna espositiva curata da Ludovico Pratesi e dal Direttore dell’Accademia Tedesca, Joachim Blüher, è stata messa a confronto l’opere di un artista tedesco con quella di un italiano. Da una parte Bernd e Hilla Becher con l’opera Quenching Tower Zecher Emscher-Lippe Datteln, Ruhr II, D 1985 (2004), dall’altra Marco Tirelli con Senza Titolo (2013).
Tema del contendere: il rigore dell’immagine. Il rigore è infatti la cifra stilistica che caratterizza la ricerca dei coniugi tedeschi Bernd e Hilla Becher, maestri della cosiddetta “Scuola di Düsseldorf”, incentrata sulla definizione della fotografia come linguaggio espressivo autonomo, a partire dagli anni cinquanta. Conosciuti in tutto il mondo per le loro fotografie in bianco e nero di strutture di archeologia industriale e architettura funzionalistica hanno ottenuto numerosi premi tra cui il Leone d’oro alla Biennale di Venezia (1990) e il Hasselblad Award nel 2004. Bernd è scomparso nel 2007.
L’intento in questo lavoro sembra essere quello di cogliere l’aspetto artistico delle strutture industriali presenti sul territorio tedesco, ed in particolare nella zona della Ruhr. L’edificio, colto dall’obiettivo dei Becher come modulo architettonico singolo, avulso dal proprio contesto ambientale, si impone nella sua forza volumetrica e scultorea. Talmente innovativi da essere definiti come artisti concettuali, i Becher hanno influito sulla fotografia documentaria creando i presupposti per la nascita di una generazione di artisti che si riconoscevano in quest’arte tra cui Andreas Gursky, Thomas Ruff, Thomas Struth e Candida Höfer.
Ma il rigore dell’immagine è anche la forza interiore dell’arte di Marco Tirelli che rappresenta la forma come fulcro di una dimensione sospesa e immaginifica del reale. Di origini romane, Tirelli comincia ad esporre nella seconda metà degli anni settanta. Le sue opere oggi si trovano nelle collezioni di musei internazionali.
Senza titolo (2013), scultura realizzata in ottone appositamente per Soltanto un quadro al massimo, è l’icona della dissoluzione di una forma geometrica e svela tra le sue ispirazioni tratte dal libro di Marguerite Yourcenar, Il tempo, grande scultore.
All’inaugurazione, avvenuta lo scorso 9 maggio a Villa Mssimo, Tirelli ha dichiarato: “Non ho un’idea dei generi, non mi riconosco in nessuna categoria formale. L’arte è immagine. Tutto è immagine. Quando penso ad un quadrato, non penso a qualcosa di astratto, assoluto ma penso a tutti i quadrati che ho visto nella mia vita. Come diceva Walt Whitman <noi siamo la folla che incrociamo>”. Tirelli spiega al pubblico attento di Villa Massimo che le immagini per lui sono, da sempre, essere, stare al mondo, fluire con le cose.
E così l’architettura diventa scultura, la scultura si trasforma in architettura, come in un sofisticato gioco di contrappunti. Il rigore è il fil rouge dei due artisti che in un incontro/scontro presentano allo spettatore i loro lavori capaci di unire immagine e materia, volume e icona, costruzione e dissoluzione.