La sostenibilità sposa il glamour al Copenhagen Fashion Summit. Non solo New York, Londra, Milano e Parigi, ma anche la Danimarca diventa il crocevia della moda, quella eco-sostenibile. L’incontro, tenutosi lo scorso 3 maggio al Copenaghen Opera House, è stato organizzato da NICE (Nordic Initiative, Clean and Ethical) l’associazione nata 3 anni fa e che riunisce le Camere Nazionali della Moda di Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia. NICE è un progetto dei paesi nordici con lo scopo principale di sensibilizzare l’opinione pubblica e far diventare i metodi di business più responsabili. Questo è un impegno, che le industrie della moda nordica, si assumono con il ruolo di guida sulle questioni sociali e ambientali. Una ricerca che punta a studiare la percezione del consumatore per convincere i governi a incentivare la produzione, l’acquisto, l’uso e lo smaltimento sostenibile dei capi d’abbigliamento.
Copenhagen Fashion Summit 2012 è il vertice più grande e importante del mondo sul consumo sostenibile e responsabile delle imprese nel settore della moda. L’industria del fashion, che rappresenta la seconda voce attiva dopo il turismo nel PIL italiano, è anche una delle più inquinanti, e l’impatto sul nostro pianeta ha raggiunto il massimo. Questo richiede un intervento immediato per creare nuovi modelli di commercio validi per affrontare le crescenti sfide ambientali che affliggono il nostro paese e le nostre società.
Il Nordic Fashion Associated, nato nel 2008 dall’impegno congiunto delle 5 organizzazioni nordiche del fashion quali il Danish Fashion Insitute, Helsinki Design Week, Icelandic Fashion Council, Oslo Fashion Week e lo Swedish Fashion Council, ha l’obiettivo, grazie alla sinergia di quest’ultime, di attuare i principi per una produzione tessile a impatto zero in tutto il mondo. Questo progetto, che è in linea con i valori e l’immagine del territorio nordico, si è cercato di condividerlo con gli altri paesi, attraverso il dibattito con i maggiori operatori del settore moda nei panel discussion.
I 5 paesi sono noti a livello mondiale sia per il loro modo di produrre eticamente corretto, sia per la loro politica di clean and ethical, che li contraddistingue, e il loro esempio potrebbe effettivamente fare la differenza e influenzare positivamente la produzione mondiale della moda.
Sotto il patrocinio della Principessa Mary di Danimarca il Fashion Summit è stato ancora una volta un grande successo, continuando a farsi largo nell’arte couturière naturale. Ha riunito oltre 1043 attori principali del settore, dai maggiori designer internazionali alle aziende di moda ed esperti provenienti dai 27 paesi, che con una vasta gamma di keynote – da Gucci a Greenpeace – è riuscito a definire anche per questo anno, l’agenda internazionale sulla sostenibilità della moda cercando di individuare nuove opportunità e lungimiranti soluzioni per combattere i problemi del nostro ecosistema.
Tra gli speakers dei keynote speeches troviamo Rossella Ravagli, direttore responsabilità sociale e ambientale di Gucci; la Principessa Mary di Danimarca, patrona dell’evento e di numerose organizzazioni nel campo della moda, cultura e sport; Holly Dublin di PPR Group, holding internazionale che vanta marchi come Gucci, Bottega Veneta, Balenciaga, Stella Mc Cartney e Alexander Mc Queen; Helena Helmersson di H&M; Kirsten Brodre di Greenpeace International, si occupa della campagna Detox lanciata nel 2011, che espone il legame diretto tra marchi di abbigliamento a livello mondiale, i loro fornitori e la tossicità delle acque in tutto il mondo. L’iniziativa proposta a livello mondiale è quella di eliminare tutte le sostanze chimiche pericolose dal processo di produzione tessile dei prodotti. Galahad Clark, CEO di Terra Plana, con il lancio delle calzature Vivobarefoot nel 2004, è diventato pioniere della scarpa minimalista, realizzata con tecniche di produzione eco-friendly in fabbriche che utilizzano solo materiali riciclati, e quindi rispettosi dell’ambiente. Il suo obiettivo per un eco-design è quello di minimizzare gli sprechi ed eliminare le tossine. Anne Prahl di WSGN, è consulente di design con una carriera nella moda sportiva: Puma, Nike, Speedo. Giordano Capuano di Vivienne Westwood e Michael Schragger della Sustainable Fashion Academy.
Importante ruolo da protagonista negli interventi è stato quello ricoperto dagli esponenti e addetti ai lavori delle maison H&M, Gucci e Vivienne Westwood, che hanno sottolineato l’importanza di sfruttare al meglio filati e tessuti rispettosi dell’ecosistema, provenienti da materiale riciclato per contribuire alla salvaguardia del pianeta e arricchire così di nuovi tessuti naturali il vocabolario della moda. La partnership del brand italiano C.L.A.S.S. Creativity Lifestyle and Sustainable Synergy, piattaforma internazionale con l’anima a Milano, è stata esemplare nel fornire i tessuti per il concorso Designer Challenge, competizione volta a promuovere e sensibilizzare il settore del tessile con la partecipazione di 18 designer nordici. Scopo del concorso, culminato in una sfilata, è stato quello di realizzare abiti con nuovi materiali ecologici che inquinano in misura minore sul clima rispetto ai prodotti usati tradizionalmente.
Il materiale fornito ai concorrenti è tutto made in Italy, proveniente dalla eco-library di C.L.A.S.S. , che vanta una preziosa esperienza sensoriale fatta di tessuti di diversa provenienza come cotone, madreperla d’allevamento o bottiglie di plastica, raccolti in una vera enciclopedia del tessile. I tessuti sono arrivati direttamente da “Concerie Tre Effe” e “Lanificio Zignone” per la sezione “tessuti naturali e organici”; “Euromaglia” e “Tessitura Virgilio Taiana” per la sezione “riciclo”; “Furpile Idea” e “Meazza Masciardi” per la sezione “rinnovabili e innovative”. Il concorso, secondo la CEO di C.L.A.S.S. Giusy Bettoni, è stata una grande opportunità sia per i designer, che hanno sperimentano nuove creazioni con materiali del tutto tecnologicamente avanzati, sia per il pubblico, in quanto è giunto alla consapevolezza che innovazione e ricerca etica possono complementarsi a vicenda e fondersi con il mondo della moda.
I concorrenti hanno portato in scena creazioni eco-glam con una sfilata contest, che metteva in mostra veri capolavori dell’arte tessile con un occhio di riguardo particolare all’ambiente. A questi si sono aggiunti anche gli abiti eco-chic indossati da Livia e Colin Firth nell’ambito del progetto “Green Carpet Challenge”. I premi messi in palio al Copenhagen Fashion Summit sono stati due riconoscimenti che sottolineano l’importanza di una moda a basso impatto ambientale: il White Award che consente al vincitore di partecipare al prossimo summit, e il Newlife Honorable Mention assegnato proprio da Newlife, piattaforma di filatura Miroglio, insieme a cento metri di filato ottenuto dal riciclo di poliestere derivato al 100% da plastica riciclata.
Il Summit 2012 si è dato nuovi obiettivi e ambizioni da raggiungere, per un’industria della moda sempre più all’avanguardia e futuristica verso il 2020, continuando ad essere la piattaforma di networking preferita per la ricerca di punta e lo sviluppo delle conoscenze sul rispetto del globo, sulla responsabilità civile dei consumatori e delle imprese sociali nel fashion system. Quello che emerge da questo studio sempre in evoluzione, è che solo il consumatore può spingere la moda a migliorarsi e che le scelte di quest’ultimo devono essere guidate da un movimento culturale che promuova stili di vita alternativi. Come ha sottolineato il direttore del Danish Fashion Institute, Jonas Eder Hansen e la CEO Eva Kruse, “solo le azioni dei consumatori possono generare un cambiamento incisivo nell’industria della moda”. E’ dunque posta in primo piano la sensibilizzazione attraverso la comunicazione, e gli operatori dell’area fashion, individuano nei governi locali e nell’Unione Europea, i primi interlocutori. E tu, are you a nice consumer?