Internet ci rende stupidi? È colpa dell’uomo, non della tecnologia. Con la «logica delle macchine» è possibile fuggire dai dolori e dalle paure.
In tempi molto antichi «l’uomo era una specie rara, la cui sopravvivenza si presentava precaria. Sprovvisto dell’agilità della scimmia, senza pelliccia addosso, gli era difficile sfuggire agli animali selvatici e, nella maggior parte del mondo, non poteva sopportare il freddo dell’inverno. Aveva solo due vantaggi biologici: la posizione eretta, che gli liberò le mani, e l’intelligenza, che gli consentì di trasmettere ad altri l’esperienza». Così scriveva Bertrand Russell nel 1949, riassumendo una storia più che millenaria in sui s’intrecciavano la contemplazione della natura e la creazione dei manufatti.
«Scienza, dunque previsione; previsione, dunque azione» era già uno slogan di un filosofo fondatore del positivismo ottocentesco. Questo ci fa capire come la crescita della conoscenza abbia comportato il potenziamento delle nostre capacità nel modificare l’ambiente per le più svariate esigenze. Però, bisogna sottolineare che l’azione può anticipare la comprensione dei fenomeni naturali. Quasi un secolo dopo, infatti, un famoso fisico sosteneva che «esiste un’inclinazione naturale che ci spinge a imitare ciò che si è compreso. Il punto a cui si giunge nella riproduzione dà la misura della comprensione. Se consideriamo il vantaggio che la moderna costruzione di macchine ha tratto dagli automi, se prendiamo in considerazione le macchine calcolatrici, gli apparecchi di controllo, i distributori automatici, possiamo attenderci ulteriori progressi della civiltà tecnica». La sua teoria sembra essere una vera e propria “profezia” oggi ampiamente avverata.
Se pensiamo al protagonista del famoso film Blade Runner che, angosciato dall’idea che la sua compagna sia un robot, si domanda se per caso non sia anche lui un automa, ci rendiamo conto che il confronto tra uomini e macchine chiarisce i motivi per cui gli assunti delle varie tecnologie ci sembrano insieme familiari e sconcertanti. Anch’essi sono frutto dei meccanismi dell’evoluzione naturale e culturale e proprio per questo possono sembrarci minacciosi.
Ma se allo sviluppo della ricerca corrisponde un’evoluzione dei nostri atteggiamenti il problema non si configura come tale. Sono molti i filosofi che temevano che le peculiarità individuali potessero venir cancellate in una totale «tecnicizzazione» della società o che la tecnica – erede della metafisica dell’Occidente – avrebbe sradicato l’essere umano dal contatto più immediato con i suoi simili e la sua storia. Questa, però, è solo una faccia della medaglia. Chi teme che lo sviluppo tecnologico produca l’abbruttimento dell’umanità dimentica che la tecnica nasce e si rafforza come elemento di emancipazione dal dolore e dalla paura. Purché ci si renda conto che essa può renderci liberi soltanto se la si può conseguire liberamente. La ricerca tecnico-scientifica è una manifestazione non solo della nostra individuale aspirazione alla verità ma anche della pratica della solidarietà: dove non riesce il singolo arriva la coordinazione degli sforzi provenienti dai diversi settori.
Chi l’avrebbe mai detto che dall’organizzazione di una rete di comunicazione ultrarapida ma segreta sarebbe nato Internet? La tecnologia non è disumanizzazione, come ha affermato qualche studioso, ma intelligenza e libertà..che poi Internet possa rischiare di renderci «stupidi» non è un suo difetto ma una nostra mancanza.
By: Elisabetta Di Zanni