Si sa che il Giappone ha sempre fatto dell’“effetto sorpresa” il suo cavallo di battaglia, da Pearl Harboralle meraviglie della tecnologia. Un paese che dopo l’atomica è tornato protagonista della scena mondiale. Una repentina trasformazione, uno scambio incessante con l’Occidente.
Nel 1979 lo scrittore Haruki Murakami denuncia la propria appartenenza a un nuovo Giappone, che guarda a Ovest. Due anni dopo lo stilista Yohji Yamamoto fa sua la moda occidentale e poi la stravolge. La sua storia è tutta lì, nella bellissima mostra in scena alla Barbican Art Gallery di Londra fino al 6 febbraio.Non a caso fu definita “moda post-atomica”. Quella che appariva era un’esplosione di volumi. Ribaltare e ridefinire i canoni estetici fino ad allora in voga era il manifesto del “maestro”, come fu presto definitoYamamoto, e dei suoi seguaci. Non più capi che seguivano armoniosamente le forme del corpo, ma un delirio asimmetrico, fatto di voluminosità impazzita, che non modella ma ingabbia. L’accostamento cromatico nero-grigio-bianco non toglieva vivacità, anzi, illuminava.
Parigi, capitale del pret-a-porter, fu conquistata nel 1981 da Yamamoto e dalla sua collega Rei Kawakubo, la stilista “Hiroshima chic”. Un’irruzione nel mondo del fashion occidentale che insieme agli abiti squarciava al contempo ogni regola codificata. E l’Europa impazzì. Tutti volevano indossare le creazioni del “maestro”. Ma a chi gli chiedeva di portare i suoi vestiti, rispondeva: “Attento, non fidarti. Non è così semplice!”. Un pret-a-porter non così “pronto da indossare” dunque.
30 anni dopo. Da Parigi a Londra, per stupire ancora. Quella in scena nella capitale inglese è la prima retrospettiva europea dedicata alla moda giapponese. Il titolo è “Future Beauty, 30 Years of Japanese Fashion”. 100 i modelli raccolti. Non solo Yamamoto e Kawakubo, ma anche Issey Miyake, Junya Watanabe, e i meno famosi Matou e Tao Kurihara, esponenti delle avanguardie. Tutti hanno fatto propri gli insegnamenti del “maestro”, dando vita a una moda che fa il verso all’architettura, in una continua ricerca di spazio, quasi a voler ricreare un ambiente. La Kawakubo, molto attiva anche nel design di interni, ne è esempio lampante. La sua boutique di Aoyama, interamente disegnata da lei, è una perfetta espansione dei suoi modelli.
Gli avanguardisti giapponesi creavano le loro sovrastrutture – passatemi il termine – grazie anche all’utilizzo di nuovi tessuti high-tech. Ma la tradizione era sempre presente. “Lo stile è l’arte di mischiare, di mettere in valore e di governare esteticamente ciò che uno ama”. Parola del maestro.
Yohji Yamamoto vanta oggi numerose collaborazioni, anche nel settore sportivo, con marchi come Adidas. In questo settore ha dato vita a nuove linee innovative, come la Y-3. I suoi due marchi più noti, Yohji Yamamoto, linea unisex, e Y’s, si trovano non solo a Tokyo, ma anche a Parigi, Londra eAnversa. La sua fama ha presto superato i confini del fashion per approdare al cinema. Già nel 1989 il regista Wim Wenders ne celebrava la vita e la professione nel suo film documentario “Appunti di moda e di viaggio”. Oggi una nuova celebrazione, a Londra, in una galleria d’arte, dov’è giusto che sia.
By: Gennaro Cutillo