“È una decisione basata esclusivamente sul mio desiderio di focalizzarmi su altri interessi della mia vita, soprattutto sul mio brand e sulle passioni che esulano dal mio lavoro”.
Pacato ma deciso: ecco come Raf Simons aveva risposto, appena due settimane fa, a coloro che chiedevano il motivo del suo addio, dopo soli tre anni, alla direzione creativa di Dior. E se all’inizio le motivazioni apparivano comunque nebulose, adesso è la penna autorevole di Cathy Horyn a fare chiarezza.
È di poche ore fa, infatti, la pubblicazione online di alcuni stralci dell’intervista che la giornalista e critica di moda ha ottenuto per la rivista System dal 47enne stilista belga.
Ad emergere è l’estrema difficoltà a tener testa ai ritmi di lavoro incalzanti del settore moda: sei collezioni l’anno fra alta moda, pre-collezioni e prêt-à-porter, due collezioni per la propria linea omonima, e in più eventi, presentazioni, aperture di nuove boutique… “Non hai il tempo di incubazione delle idee, – dichiara Simons. – E il tempo di incubazione è molto importante. Quando metti alla prova un’idea la guardi e pensi, Mmm, mettiamola da parte per una settimana e pensiamoci dopo. Ma questo non è possibile se hai un solo team che lavora su tutte le collezioni.”
L’avventura Christian Dior era cominciata nell’aprile 2012 a seguito del controverso esonero dell’allora direttore creativo John Galliano, colpevole di commenti antisemiti lasciatisi sfuggire in un bar di Parigi. Lo stesso Galliano aveva più volte rimarcato come le tempistiche di lavoro fossero eccessivamente strette e la libertà limitata.
“Quando penso alla prima sfilata di alta moda per Dior nel luglio 2012, – racconta Simons alla Horyn, riferendosi ai momenti presenti anche nel film-documentario Dior and I di Frédéric Tcheng (2015) – Ricordo di essere stato preoccupato perché avevamo solo otto settimane di tempo [per prepararla, n.d.R.]. E un tempo così lungo non lo abbiamo mai più avuto.”
Se questo ha spinto Simons a mollare, di certo non gli ha impedito di cavalcare l’onda con successo finché ha potuto. Prova ne sono gli ottimi risultati economici ottenuti dalle collezioni da lui create: la moda femminile ha portato, solo nell’ultimo anno, un aumento del fatturato del 18%, un equivalente di 1,94 miliardi di euro in più di vendita.
“Non ho un problema con il continuo processo creativo, – spiega Simons nell’intervista. – Perché è questa la ragione per la quale sono in questo mondo. C’è sempre qualcosa che sta accadendo.”
E che dire dell’eredità di stile che Raf Simons lascia a Dior? In un’intervista a Vogue Uk del 2012, lo stilista sosteneva (con beneducata provocazione) di voler rendere nuovamente riconoscibile la donna Dior tanto quanto lo è la donna Chanel, coi suoi twin set e il suo bouclé. Da qui la scelta di rilanciare nella contemporaneità alcuni classici intramontabili, a partire dal bar jacket, soprabito che modella il busto per donare una forma a clessidra e che Simons ha immaginato in plurime versioni, dall’essenziale a linee dritte al vero e proprio abito-bustino.
Una reinterpretazione che comprende anche l’altro capo iconico della maison Dior, la gonna a ruota, ed ecco che la sontuosità incontra la praticità grazie a tasche nascoste che sdrammatizzano la costruzione architettonica del capo.
Adesso già ci si sbizzarrisce a pensare a chi prenderà il posto di Raf Simons e come potrebbero essere reinterpretati altri pezzi iconici della maison francese. E se all’inizio il toto-nomi si concentrava proprio su chi nelle ultime stagioni ha saputo rilanciare e personalizzare marchi storici (vedi: Riccardo Tisci per Moschino o Phoebe Philo per Celine), negli ultimi giorni ha insospettito l’addio di Albert Elbaz a Lanvin dopo 14 anni di collaborazione. Che sia solo un preambolo dell’ingresso al 30 di avenue Montaigne? Staremo a vedere.