L’Italia è una Repubblica fondata su un certo ‘stile’ e la sovranità appartiene al popolo che… si veste come i rappresentanti che elegge.
Nei cosiddetti ‘palazzi del potere’, freschi attivisti e intrepidi veterani impersonano la foggia della nazione che si fregia dello stemma araldico del ‘made in Italy’ come fosse il vitalizio di un’antica nobiltà, che quanto ad estetica vive anche di rendita. Gli esponenti dei vari partiti sfoggiano colori e accessori che via via acquisiscono una sorta di simbologia, diventando fonte di ispirazione per gli elettori che -più o meno consapevolmente- prediligono i capi d’abbigliamento spesso esibiti dai leader degli schieramenti che appoggiano.
Perciò, addio Onorevoli! Oggi i Cittadini fanno la rivoluzione col maglioncino di acrilico, con le camice dai colli ambigui, con i giacconi impermeabili e i pantaloni di velluto a costine belli comodi. Se in piazza fa freddo, giù con le sciarpone di lana -meglio se un tantino infeltrite- e i cappelli aderenti, altro che giacca e cravatta. E’ la massa, la folla, la gente.
Poi ci sono i Professori, quelli che hanno reso il loden la divisa ‘anti-spread’. Indossano il rigore di un completo gessato come credenziale decorosa agli occhi dell’Europa e guai a chiamarli radical chic! Sono intellettuali loro, professionisti collaudati ben distinti dai rottamatori casual che rimboccano le maniche della camicia come a voler dire “damose da fa’”. Per questi ultimi il colletto è sbottonato e la demolizione della classe politica si fa anche con un look affabile che ammicca al fascino presidenziale della democrazia a stelle e strisce.
Abbandonate le bandane da corsaro e le T-shirt sotto le giacche in stile bodyguard, gli ex avventori di cene eleganti e spettacoli di burlesque vestono adesso con la sobrietà di un doppio petto blu, ostentano linee sartoriali e brillano di bottoni dorati, mentre le ‘quote rosa’ non mollano il pellame pregiato di una borsa in pendant con la cintura griffata. Qualche ritocchino estetico è sapientemente celato da grandi occhiali scuri, che alimentano il mistero di come sia possibile conciliare la falcata sicura di tacchi altissimi con la proverbiale impraticabilità degli impervi sampietrini.
Poi ci sono loro, i ‘perdenti che arrivano primi’, che hanno sempre qualcosa di colore grigio: se non è il pantalone è la cravatta, se non è la scarpa è la borsa, se non è un foulard sono i capelli, altrimenti è l’espressione. L’estetica è superflua, l’abito non conta, poche chincaglierie: ciò che conta è il risultato (grigio, appunto).
Sebbene silurati da ‘marachelle bugiarde’, sparuti ma ancora gagliardi sono, invece, i dandy dal gilet damascato, mocassino bicolore ed eccentrico copricapo, la cui la velleità di fermare il declino sociale è testimoniata dalla scelta di prediligere i colori dei paletti catarifragenti.
In fondo, ‘scendere’ in politica è un po’ come salire in passerella: circondati da scenografie surreali e location suggestive, decine di modelle e modelli indossano programmi e idee per sfilare davanti al pubblico che può ammirare, sbeffeggiare, indugiare sulle collezioni.
E se qualcuno inciampa poco importa: flash, applausi, fischi… The show must go on, signori.