Testo e foto a cura di Vanessa Bocci
Dal 22 giugno al 2 ottobre 2023 a Perugia, all’interno delle bellissime e raffinate sale di Palazzo Baldeschi si potranno ammirare le opere di due grandi artisti umbri lontani nel tempo, ma accomunati dal profondo legame verso la loro terra natia: Pietro Vannucci, detto il Perugino, e Alberto Burri. La mostra “Nero Perugino Burri” è nata da un’idea della Fondazione Perugia e realizzata in collaborazione con Fondazione Burri, l’esposizione è curata dalla storica dell’arte Vittoria Garibaldi e dal Presidente di Fondazione Burri Bruno Corà. Il comune denominatore dell’intera esposizione, composta da circa 20 opere, è l’uso del nero che ne hanno fatto i due artisti.
Usato sapientemente da entrambi i maestri , rappresenta una grande novità per l’epoca di Perugino ed è uno dei tratti più ricorrenti dell’ intera carriera di Burri. L’idea della mostra è nata da un’opera di Perugino la Madonna con il Bambino e due cherubini. Il quadro ritrae la Vergine con il bambino in un’atmosfera intima e familiare. I personaggi si stagliano su uno sfondo completamente nero, che fa risaltare le loro figure con colori accesi e vibranti. Il dipinto rivela la perfezione disegnativadel maestro anche in una rappresentazione di piccole dimensioni.
Sono questi gli anni più belli della carriera del Perugino, quando, attivo a Firenze conosce la pittura fiamminga e la luce di Leonardo, ma viene catturato anche dall’atmosfera di Veneziadove si reca più volte nel corso degli anni Novanta. Le opere di Perugino sono di piccolo formato e datate a cavallo tra il XV e il XVI secolo, dove non vi si trova nessun tipo di paesaggio o architettura prospettica, solo il nero che domina l’intera rappresentazione su cui vengono posizionati i soggetti, come non si era mai visto prima.
Questa ricerca ha permesso di ottenere importanti prestiti, come lo splendido Ritratto di Francesco delle Opere, probabilmente dipinto a Venezia, il Ritratto di giovinetto, proveniente dalla Galleria degli Uffizi e la Madonna con Bambino tra San Giovanni e Santa Caterina del Museo del Louvre. In dialogo con le opere di Perugino ci sono una decina di quadri di Alberto Burri, in cui si può trovare il medesimo interesse per il nero inteso non come mancanza di colore, ma come buio che permette alla luce di emergere.
Burri nasce a Città di Catello il 12 marzo del 1915. Si laurea in medicina nel 1940. Quale ufficiale medico è fatto prigioniero dagli inglesi in Tunisia nel 1943 e consegnato agli alleati USA che lo inviano nel campo di Hereford in Texas, qui comincia a dipingere. Nel 1947 torna in Italia e si stabilisce a Roma, dove si dedicherà completamente alla pittura. Nel 1948, dopo un viaggio a Parigi, il suo interesse sarà focalizzato sulle potenzialità espressive della materia. Nel 1950 la rivista francese “Cahiers d’Art” segnala il suo lavoro al pubblico internazionale e da questo momento la carriera artistica del pittore decolla a livello mondiale. A Città di Castello nel 1978, dà vita alla Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, con lo scopo di promuovere e divulgare le sue opere, morirà a Nizza il 13 febbraio del 1995. Burri è stato un grande ammiratore e conoscitore del Rinascimento italiano ponendolo in dialogo con le lontane radici e che trova conferma nelle linee, nelle forme e nelle sensibilità cromatiche che uniscono i due grandi artisti. L’Umbria caratterizzata da grandi nomi come, Piero della Francesca, Raffaello e ovviamente da Perugino, ha lasciato radici indissolubili in Burri prendendo forma nelle sue pitture, da Catrame del 1949 a Nero Cellotex del 1968, qui la materia emerge con prepotenza dalla tela e l’attenzione è posta sull’equilibrio tra forma e colore, con una predilezione per il nero e per i toni scuri, tratto inconfondibile dell’artista tanto da essere considerato “il maestro dei neri”. Le opere di Burri possono essere reputate una ideale dialettica proposizione con le tavole del Perugino. Nel Quattrocento il fondo nero aveva lo scopo di far risaltare i personaggi delle opere per renderli ancora più protagonisti, mentre nelle opere di Burri il nero diventa il protagonista assoluto del quadro, affermandosi come materia viva con il proposito di emergere dalla tela con prepotenza per andare a colpire i sensi dell’osservatore, il quale rimane quasi ipnotizzato dal mondo oscuro dell’artista.