L’affermarsi del Made in Italy non è stata un’impresa facile sin dalla sua nascita. Dalla fine dell’Ottocento fino agli inizi del secolo successivo non era ancora possibile parlare di una moda italiana autonoma da quella d’oltralpe. Fino alla metà del Novecento, infatti, le ultime novità in fatto di stile continuarono a provenire da Parigi. E anche quando arrivava da altri paesi come l’America o l’Inghilterra, la Francia ne aveva comunque il primato, essendo considerata da tutti il centro di diffusione di ogni nuova foggia. Per parlare propriamente di moda italiana occorre attendere il secondo conflitto mondiale quando Parigi rimase tagliata fuori dal mondo per quattro anni, e non potendo contare più sulle sue novità con l’impossibilità di importare da questa i suoi modelli, si assistette al nascere sia di una moda autenticamente italiana sia di quella inglese e americana.
Fu grazie al clima di emergenza che la creatività italiana, unita ad un’antica tradizione di alto artigianato, formò un cocktail esplosivo che diede i suoi frutti all’indomani del conflitto. Già nel 1949 a Milano, diventata la nuova capitale francese della moda, venne costituito il “Centro Italiano della moda”, organismo il cui proposito era quello di stabilire un trait d’union tra industria tessile e moda attraverso una serie di sfilate e manifestazioni. In quegli anni l’Italia cercava di raggiungere una propria autonomia stilistica e il 1948 è l’anno che scandì l’inizio di una profonda trasformazione nello stile italiano, l’anno in cui si iniziò a prendere coscienza del potenziale creativo italiano.
Milano e la moda hanno iniziato questo percorso insieme e da lì non si sono più fermati. A tutt’oggi hanno e devono avere sempre più un ruolo di leadership nel contesto della fashion industry internazionale. Il sistema manifatturiero italiano è il primo al mondo per qualità e per valore delle esportazioni, ma per cogliere le nuove sfide globali e fronteggiare oggi la concorrenza delle multinazionali del lusso e delle altre capitali dello stile come Parigi, New York e Londra occorrono scelte strategiche, il sostegno degli enti territoriali e una politica industriale per il settore.
E’ proprio in quest’ottica e per affrontare il rilancio del Made in Italy, che s’inserisce il Manifesto della Moda, un documento de Il Sole 24 Ore al quale hanno contribuito personaggi importanti del calibro di Giorgio Armani, Patrizio Bertelli, Ferruccio Ferragamo, Federico Ghizzoni, Manfredi Catella, Mario Boselli, Umberto Veronesi, Claudio Marenzi, Enrico Cucchiani, Rossella Jardini, Patrizia Moroso e Vittorio Grigolo.
Un’iniziativa che vede insieme nomi di spicco della moda e del mondo milanese uniti insieme nella convinzione comune che oggi occorra un’azione combinata, una strategia pervasiva per poter rilanciare il ruolo di Milano come fulcro del made in Italy, e come volano per la ripresa economica del paese.
Le proposte contenute nel Manifesto della Moda del Sole 24 Ore vertono su vari postulati:
Colmare il gap delle infrastrutture e investire su territorio e turismo. Innanzitutto occorre ripartire dai luoghi della cultura, del saper fare italiano e dall’entertainment, che possono essere le chiavi per poter far entrare giovani stilisti esteri a lavorare in Italia. Occorre tornare ad investire su Milano e sul territorio, valorizzandone le eccellenze a partire proprio dal Teatro alla Scala di Milano. E’ da qui che deve ripartire il Made in Italy, dallo stesso simbolo che Alcide De Gasperi scelse quel 9 dicembre del 1946, per parlare di sviluppo e di riscatto del Bel Paese. Se Milano e il Paese intendono davvero tornare all’avanguardia dello stile e dell’industria manifatturiera, e quindi mettersi alla pari delle altre strateghe del lusso, allora servono delle abili capacità per stimolare la creatività e l’artigianato artistico, nonché il sostegno degli enti territoriali e una nuova politica di sviluppo per il settore. Quello, che il Manifesto propone attraverso i suoi punti è di concorrere ad una sorta di riscatto di Milano, da rendere un luogo capace di sintetizzare la forza del made in Italy e contemporaneamente l’attrattiva del territorio.
Per poter investire sul panorama milanese occorre rendere il capoluogo lombardo ospitale migliorandone l’immagine e la vivibilità a prescindere dagli eventi della moda e in previsione di Expo 2015. Parola d’ordine a tal proposito deve essere ” migliorare l’accoglienza” – spiega Mario Boselli, presidente della Camera Nazionale della moda italiana – […] suggerendo iniziative che potrebbero essere chiamate “Enjoy Milano”. Servono provvedimenti specifici quali il prolungamento degli orari della metropolitana e dei mezzi pubblici, un sito multilingue per i visitatori, con informazioni relative ad hotel, ristoranti, musei e intrattenimento”. Questo è l’unico modo per poter avvicinare quei milioni di turisti che sognano di visitare il Paese e acquistare il Made in Italy.
“La moda – sostiene Patrizio Bertelli, AD del gruppo Prada – è uno degli aspetti principali del turismo e deve combinarsi con il massimo dei servizi su collegamenti, alberghi, ristoranti, caffè, locali notturni, musei. Almeno nella settimana della moda, la città dovrebbe essere viva fino a mezzanotte, aprendo i cortili dei più bei palazzi storici”.
Altro punto fondamentale riguarda la Formazione e gli Incentivi. Promuovere la formazione degli stilisti e degli operatori del settore attraverso una strategia in grado di uniformare un alto standard di qualità e fare “sistema” tra le diverse scuole di moda italiane. Inoltre incentivi fiscali per aiutare le imprese a rimanere in Italia con la propria produzione, sostenendo sopratutto il 90% del settore fatto di piccole e medie imprese.
Parola d’ordine del Manifesto è la spinta all’Internazionalizzazione, la solidarietà di sistema e l’accesso al credito. Principale obiettivo delle imprese è quello di sbarcare sui mercati internazionali implementando l’internazionalizzazione nel settore della moda, portando così anche le piccole imprese a partecipare alle fiere di settore all’estero, grazie anche a progetti realizzati ad hoc per la promozione delle nuove realtà. Secondo il Sole 24 Ore spetta alle imprese leader assumersi la responsabilità di mantenere dinamico il settore, promuovendo la solidarietà di sistema. Un corretto flusso finanziario potrebbe garantire il rilancio dell’intera filiera inclusa la tutela delle eccellenze artigianali Made in Italy.
Avere una filiera più forte può rappresentare una grande occasione anche per gli istituti bancari. Una delle banche più attive a tal proposito è Unicredit, che ha recentemente lanciato un’iniziativa il cui obiettivo è quello di offrire alle aziende del settore una gamma di prodotti finalizzati alla crescita dell’export.
Altro punto fondamentale del Manifesto della moda è quello di Indirizzare il made in Italy verso i mercati emergenti. Il Manifesto della moda ritiene importante e strategico catapultare le aziende più piccole nei mercati internazionali, facilitando l’accesso alle fiere sulle principali piazze mondiali. Obiettivo principale è contrastare la contrazione della domanda interna indirizzandosi verso i mercati emergenti del Centro-est Europa, Asia e Sud-America.
Il documento firmato dal Sole 24 Ore e dai personaggi illustri del mondo del fashion auspica infine una Formazione personale e il Talent Scouting: lo stanziamento di maggiori risorse a favore della formazione delle future leve nel campo della moda. Inoltre secondo Fabrizio Onida dell’Università Bocconi è importante e necessario rivedere come è formata la scuola dell’obbligo, introducendo anche in Italia il cosiddetto “sistema duale”, una formula mista di formazione scolastica già presente in altri Paesi e in grado di avvicinare sempre di più i giovani alle aziende già dagli ultimi anni di liceo.