Addentrarsi nella storia della Rai, soprattutto per quanto riguarda lo stile e la moda, non era compito affatto facile, ma Fabiana Giacomotti, giornalista, scrittrice e autore tv, ce l’ha fatta e ci ha regalato un libro che ben presto diventerà un must per tutti coloro che studiano la storia e i costumi della moda: “La tv alla moda – Stile e star nella storia della Rai”, edito da Silvana Editoriale con RaiEri.
Nell’anno del sessantesimo anniversario di Mamma Rai, ripercorrere la storia dell’Italia attraverso i programmi e le icone che hanno segnato un’epoca era d’obbligo: abbiamo intervistato l’autrice per conoscere da vicino aneddoti e curiosità, dal piccolo schermo alla realtà.
Quanto la Rai ha dettato moda, in fatto di tendenze e costume in questi sessant’anni?
“La Rai ha interpretato la moda e l’ha resa accessibile anche a chi non poteva avere accesso a quel mondo dorato. Nei primi anni Cinquanta solo le facoltose donne di città vivevano da vicino la moda, la maggior parte della popolazione non sapeva nemmeno cosa significasse. Ecco, la Rai fece da mediatrice culturale: i primi servizi moda andarono in onda nel 1957 ed erano sfilate in studio, raccontate da grandi conduttrici, come Bianca Maria Piccinino, che tramite un linguaggio accessibile, aprivano le porte di un universo quasi esclusivo a un pubblico molto più vasto. Se pensiamo poi a chi ci lavorava, in Rai, dalle grandissime Mina, Milva e Patty Pravo, vere icone di stile, a Corrado Colabucci, Piero Gherardi e Pietro Tosi, costumisti eccellenti non solo per la tv, ma anche per il cinema e la moda, beh allora è un attimo capire come la Rai rappresentava la moda, parlava di moda, era di moda”.
Icone di moda che hanno lavorato in Rai: tre nomi e il perché della scelta.
“Alcuni li ho già fatti, come Mina, Milva e Patty Pravo, di un’eleganza senza pari, sempre dall’aspetto molto curato. Indossavano degli abiti molto moderni, che potrebbero essere di moda anche oggi con qualche astuto accorgimento. Ma se parliamo di costume e di influenza sulle mode a venire, allora la vera regina è lei, Raffaella Carrà, una vera innovatrice, un’icona di stile, poliedrica e sempre capace di reinventarsi, senza mai sembrare fuori luogo: non è l’emblema dell’eleganza, ma di sicuro ha un carisma, un’intelligenza e un’energia senza pari”.
Scartabellando negli archivi Rai e facendo ricerca, quali aneddoti curiosi sono saltati fuori?
“Episodi veri e propri non ne ho, più in generale sicuramente posso asserire che in passato c’erano molti meno problemi a vestire più volte lo stesso abito, lo fece più volte Raffaella Carrà, ma non solo. Alcuni abiti sono stati reinterpretati e rimaneggiati da diversi stilisti, quindi si riconosce proprio la stratificazione di stili nello stesso capo: in alcuni casi veniva massacrato, in altri invece usciva un capolavoro come risultato finale. Infine, ciò che ho imparato studiando la moda e il costume nella tv è l’importanza della finzione: oggi come allora, numerosi abiti di scena venivano creati giusto per durare il tempo di un programma o per venire bene in video. Per esempio, uno dei capi più belli che abbia mai visto era un top in maglia di lurex, con una serie di frange fatte di catenelle del ferramenta attaccate al collo tramite un lucchetto: una cosa assurda, se ci si pensa, ma che in video lasciava senza fiato. La bravura dei costumisti era di rendere con niente (anche ai tempi non c’era budget) un’idea fantastica, che durasse almeno lo spazio di un programma”.
Qual è stato il programma Rai per eccellenza, che ha segnato un’epoca, sia in termini di moda che di costume?
“In passato direi Studio Uno e Milleluci, quest’ultimo per la riproposizione della storia dello spettacolo. Oggi direi Tale e quale show, in particolar modo per i costumi curati da Donato Citro, un bello spettacolo con un’idea che regge”.
Per celebrare quest’importante anniversario, ha curato la mostra “1924-2014. La Rai racconta l’Italia”: ce ne parla?
“È una mostra che si avvale della prestigiosa partecipazione e collaborazione di Piero Angela, Piero Badaloni, Andrea Camilleri, Bruno Pizzul, Arnaldo Plateroti, Emilio Ravel, Marcello Sorgi, Bruno Vespa e Sergio Zavoli e di cui ho curato la parte che riguarda i costumi e la moda, appunto. Dopo l’esposizione al Vittoriano di Roma è approdata alla Triennale di Milano, per poi volare a Torino e a New York. È un’occasione per ripercorrere insieme la storia d’Italia e della nostra televisione, rivivendo i grandi cambiamenti sociali, culturali, scientifici dei quali l’Italia e il mondo sono stati protagonisti”.
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