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Dalì, una vita surreale

Erasmo da Rotterdam, insigne umanista olandese, nel suo saggio “L’elogio della follia” descrive quest’ultima come una “ forza vitale, irrazionale e creatrice”. E chi se non la follia poteva  dare vita al genio visionario di Salvador Dalì ? A sessant’anni dall’ultima retrospettiva, il Genio, come lui stesso si definiva,  torna nella città capitolina. Il Complesso del Vittoriano dal 10 marzo al 30 giugno 2012, gli dedica la mostra dal titolo “Un artista un genio”.

Un viaggio nei meandri dell’inconscio daliniano, scandito da fotografie, quadri, bozzetti e abiti, simbolo del suo rapporto con l’Italia e la città Eterna. Ossessioni, allucinazioni, paranoia. L’uomo Salvador Dalì, attraverso un carosello di immagini in bianco e nero ci porta alla scoperta dell’artista Dalì. La sua voce, il suo volto, le sue acrobazie e le sue performance uniche ci proiettano in una allucinata pseudo-realtà .

Dalì era affascinato dalla cultura italiana e soprattutto da quella rinascimentale.” Io sono il  Raffaello del Novecento”  per citare una sua massima. I grandi maestri del ‘500 rivivono nelle sue opere, scandagliati nella psiche e nelle turbe del’io umano, Raffaello, Michelangelo, Cellini, Donatello, danno vita al misticismo nucleare di Dalì: ritornare alla perfezione del Rinascimento. Una perfezione che solo Gala poteva rappresentare, musa, amante, moglie,  emblema di un  amore totalizzante,”che tutto muove e tutto puote”. Era spesso raffigurata su di un piedistallo, simbolo della sottomissione alla moglie, come ne La Madonna di Port Lligat opera indubbiamente ispirata alla Sacra Conversazione di Piero della Francesca. Immancabile la presenza dell’uovo, elemento figurativo e onnipresente nell’universo pittorico di Dalì, la scomposizione degli oggetti, risultato degli studi sull’atomo e sulla bomba atomica come in Atomic Leda, quadro in cui Gala  impersona Leda, che sedotta da Giove sotto forma di cigno partorirà l’uovo fatale dal quale nasceranno i Dioscuri.

La mitologia è un altro elemento ricorrente nelle opere del genio di Figueras.  Dalla  Metamorfosi di Narciso alla Ninfa Galatea, dal Minotaure  alla Venere di Milo con cassetti, la mitologia  è scandagliata dalla psicoanalisi  attraverso i labirinti più reconditi e più nascosti della psiche umana. Sempre dalla scienza di Freud, mutua  la simbologia dei cassetti che rappresentano la parte più nascosta del nostro subconscio e solo la psicoanalisi può aprirli. Cosi ad una scultura greca, simbolo dell’euritmia classica, vengono applicati tanti cassettini, per dare vita ad una nuova forma di arte. Nasce il metodo paranoico-critico: “un sistema di conoscenza irrazionale basato sull’oggettivazione  di associazioni di idee e interpretazioni deliranti”, come lo stesso Dalì afferma. Ibridazioni, elucubrazioni sessuali, esternazioni  latenti della libido danno vita ad una serie di figure oniriche di pura matrice psicoanalitica.

Dall’Angelus architettonico di Millet al  Sonno, dalla Metamorfosi di Narciso all’Autoritratto molle con pancetta fritta,  ritorna un altro topos dell’ideologia daliniana: l’io si riflette  nel suo doppio, per riflettere su tutto ciò che attanaglia l’animo dell’uomo. Presagi inquietanti e una parvenza di morte pervadono le tele reificati in stampelle, formiche e figure mostruose.

Amava l’arte Dalì sopra ogni cosa, l’arte di De Chirico, l’arte del Mantegna e del Tiepolo. Quello stesso artista che aveva dipinto  nel ‘700 le mura di Palazzo Labia, diventato  nel 1951 teatro del Ballo Di Beisteguì, definito negli anni a venire, il più grande, pirotecnico e spettacolare di tutti i tempi. Era un bal masqué settecentesco, e Dalì insieme a Christian Dior, firmò i costumi per quell’eccezionale evento. Si presentò sui trampoli vestito di bianco, con un berretto in testa, come una presenza falotica, in contrasto con tutto lo sfarzo che lo circondava. Unico particolare? Una maschera modellata con le sue mani in un materiale altrettanto leggero  come la sua berretta,  plasmando una tragica parodia del suo stesso volto. Un’altra metamorfosi era stata compiuta, quell’effetto drammatico era stato raggiunto, un ultimo colpo magistrale nella semantica estetica della vita.