“Tutti mi chiedono, tutti mi vogliono” cantava Figaro ne Il Barbiere di Siviglia e se il bomber non fosse soltanto un oggetto inanimato direbbe la stessa cosa. Da Saint Laurent a Louis Vuitton passando per Comme des Garçons e Stella McCartney, l’abbiamo visto ovunque, ci ha tentato, ammaliato e stregato sulle passerelle. Quello argentato proposto da Gucci l’abbiamo talmente tanto desiderato che alla fine ci siamo accontentati della copia trovata da Zara. Ma come nasce quella giacca ricamata in nylon che vogliamo e dobbiamo avere a tutti i costi?
La storia della moda ci insegna l’origine e lo sviluppo di vestiti e accessori, altre volte ci è difficile stabilire e dare un nome a chi abbia inventato un determinato capo d’abbigliamento. Il bomber è uno di questi casi. A distanza da 70 anni dalla sua invenzione sappiamo soltanto che c’entrano un soldato americano e un artigiano giapponese, entrambi anonimi.
Le sue radici sono da ricercare alla fine della Seconda Guerra Mondiale, durante l’occupazione americana di Yokosuka, città del Giappone nella baia di Tokyo. Per commemorare il tempo passato sull’isola, le truppe americane iniziarono a farsi ricamare sul retro delle loro giacche reversibili i tradizionali disegni giapponesi: fiori e alberi di ciliegio, geishe, tigri, dragoni e mappe dei territori conquistati. Le giacche diventarono letteralmente dei souvenir per il militare e un regalo per familiari e amici una volta tornato negli Stati Uniti. Da quel momento in poi vennero chiamate Sukajan: alcuni credono che il nome significhi “felpa del dragone del cielo”, mentre secondo altri deriva dall’unione di Yokosuka e la parola inglese jumper pronunciata con accento giapponese.
Quello che nacque come un souvenir per militari americani, ironicamente negli anni ’60 venne adottato in Giappone dai giovani della classe operaia come simbolo di ribellione. Ma la società per bene non la pensava ugualmente e affibbiò connotazioni negative alla giacca, era simbolo di legami con le gang e delinquenza giovanile. Tutt’ora il Sukajan lo ritroviamo nei film sulla Yakuza, la mafia giapponese, come uno dei capi preferiti dai criminali.
Le guerre in Corea e in Vietnam estendono la popolarità della giacca al di fuori del Giappone. La brutalità della Guerra del Vietnam si rispecchia sui ricami delle giacche: i colori si spengono, i fiori di ciliegio diventano mappe del Vietnam e compaiono frasi politiche o contro la guerra. Una la più ricorrente: “When I die, I’m going to heaven because I served my time in hell”. Negli anni successivi la giacca diventa famosa in tutta America e Europa diventando il simbolo della controcultura grazie anche a rockstar come Mick Jagger, che la indossa in tour con i Rolling Stones.
Attraverso le icone della pop culture e le celebrità degli ultimi tempi il bomber è tornato ad essere presente nelle strade, nei negozi e nei nostri armadi. Nell’ultimo anno tutti, da Stussy e Supreme ad Adidas e Undercover, hanno reinterpretato lo stile di questa giacca senza tempo, cambiando materiale, passando dalla seta al nylon, ma sempre ponendo grande attenzione ai ricami. Ricami che devono raccontare di chi lo indossa, onorando e rispettando lo spirito originale del Sukajan.